Un Funzionario della Regione lazio, a settembre del 2013, veniva convocato dal proprio Dirigente per rispondere alle pesanti accuse mosse alla sua integrita' professionale ed alla richiesta del suo trasferimento, contenute in una lettera, sottoscritta da piu' persone, inviata all'Area e Direzione di appartenenza.

Successivamente, l'istante chiedeva all'Organo competente, ai sensi della L. 241/1990, copia completa della suddetta lettera. Trascorso il termine stabilito, di cui all'art. 24, co. 4, L. 241/1990, senza aver ottenuto riscontro, il Funzionario presentava ricorso avverso il silenzio rifiuto al Difensore civico regionale competente, che provvedeva, prontamente, a trasmetterlo all'amministrazione regionale, con invito a voler trasmettere le controdeduzioni entro 15 giorni dal ricevimento.

I controinteressati, firmatari della missiva citata, comunicavano, tramite il proprio legale, il diniego all'accesso, formulato sulla base delle seguenti considerazioni:

1. la lettera in questione, ai sensi dell'art. 22, co. 4, L. 241/1990, non rientra nella categoria di atto amministrativo;

2. i firmatari della petizione, con riferimento al D.Lgs. 196/2003, in particolare agli artt. 23 e ss., non esprimono il loro consenso al trattamento ed alla divulgazione della stessa.

Il dirigente amministrativo confermava il diniego all'accesso.

La reiterazione del diniego veniva motivata dal fatto che alla lettera non era stato dato riscontro in quanto non si era ritenuto che essa contenesse espressioni offensive dell'immagine o della professionalita' dell'istante. L'amministrazione regionale, inoltre, precisava che qualora fosse ravvisata una fattispecie giuridicamente rilevante sotto il profilo penale, avrebbe autonomamente provveduto a perseguire i sottoscrittori nell'interesse dell'ente medesimo.